Oggi 24 marzo 2013 anniversario dell'eccidio delle Fosse Ardeatine di Roma
Il paesaggio e l’eccidio: 24 marzo 1944
Roma 24 marzo (cronaca) - Situate fra le catacombe di San Callisto e quelle di santa Domitilla, le Fosse Ardeatine (allora chiamate semplicemente “le cave di sabbia”) erano state scavate all’inizio del XX secolo e sfruttate per prelevare sabbia di origine vulcanica, che più di recente era servita come materiale per la costruzione degli edifici della grandeur fascista. I 335 prigionieri partirono da Via Tasso poco dopo le 14. Si dice che un giorno, a un bivio lungo la via Appia, l’apostolo Pietro si sia fermato davanti all’apparizione di Gesù. “ Domine quo vadis?” chiese stupito.
“Quel pomeriggio di 69 anni fa - scrive Robert Katz nel volume “Morte a Roma” - giunti allo stesso bivio , i detenuti di via Tasso imboccarono la strada sulla destra, la via Ardeatina, diretti verso l’antica città portuale di Ardea. Si sarebbero fermati un chilometro dopo”. Situate fra le catacombe di San Callisto e quelle di santa Domitilla, le Fosse Ardeatine (allora chiamate semplicemente “le cave di sabbia”) erano state scavate all’inizio del XX secolo e sfruttate per prelevare sabbia di origine vulcanica, che più di recente era servita come materiale per la costruzione degli edifici della grandeur fascista. Su un poggio sopra la cava, un contadino di nome Nicola D’ Annibale, che stava lavorando nei campi e aveva preso ad osservare lo strano movimento di soldati nella radura davanti agli ingressi delle cave, udì la salva degli spari. Notò che erano passati pochi minuti dopo le 15,30. “C’'erano da una parte e dall'altra della strada – scrive Pasolini in “Ragazzi di vita” descrivendo qualche anno dopo la zona ai confini meridionali del comune di Roma - distese di campi che dovevano esser di grano, ma ch'erano tutti pieni di fratte, buchi e canneti; e più avanti un orto, con gli alberi ancora più vecchi del casolare cadente, e non potati più almeno da una ventina d'anni. Il fossatello era pieno d'acqua nera, e passeggiavano su e giù per l'erba e la terra ancor più nere delle vecchie papere sbandate. Poco più in là del casolare finivano i campi di grano, sperdendosi come andava andava su delle cave abbandonate e ridivenute anch'esse campi, tutti spelacchiati, buoni per i greggi sabini o abruzzesi di passaggio, e interrotti qua e là da burroncelli e strapiombetti.” “L’immagine di quella campagna – annota Carlo Emilio Gadda nel “Pasticciaccio brutto…”, descrivendo la campagna romana dalle parti del Santuario del Divino Amore - così desolata nel marzo, che con il ristare di scirocco e delle raminghe sue piove, dal lido, ora, approdava in una chiarìa tersa ai Castelli, a le case degli umani, lo fascinò ad un tratto come apparita di magìa: i cubi e i diedri delle case la coronavano al sommo, i cenobi, le torri. Una landa per i miraggi della solitudine. un attimo. Dietro le argille sgrondavano verso la duna gli sferzanti piovaschi: ivi la paura: i chiusi orizzonti dei valloncelli , le loro stanche marane, la mota rossiccia dove infoltisce il canneto dal colore verde freddo gelo senza riposo”. bm fonte www.aiol.it
“Quel pomeriggio di 69 anni fa - scrive Robert Katz nel volume “Morte a Roma” - giunti allo stesso bivio , i detenuti di via Tasso imboccarono la strada sulla destra, la via Ardeatina, diretti verso l’antica città portuale di Ardea. Si sarebbero fermati un chilometro dopo”. Situate fra le catacombe di San Callisto e quelle di santa Domitilla, le Fosse Ardeatine (allora chiamate semplicemente “le cave di sabbia”) erano state scavate all’inizio del XX secolo e sfruttate per prelevare sabbia di origine vulcanica, che più di recente era servita come materiale per la costruzione degli edifici della grandeur fascista. Su un poggio sopra la cava, un contadino di nome Nicola D’ Annibale, che stava lavorando nei campi e aveva preso ad osservare lo strano movimento di soldati nella radura davanti agli ingressi delle cave, udì la salva degli spari. Notò che erano passati pochi minuti dopo le 15,30. “C’'erano da una parte e dall'altra della strada – scrive Pasolini in “Ragazzi di vita” descrivendo qualche anno dopo la zona ai confini meridionali del comune di Roma - distese di campi che dovevano esser di grano, ma ch'erano tutti pieni di fratte, buchi e canneti; e più avanti un orto, con gli alberi ancora più vecchi del casolare cadente, e non potati più almeno da una ventina d'anni. Il fossatello era pieno d'acqua nera, e passeggiavano su e giù per l'erba e la terra ancor più nere delle vecchie papere sbandate. Poco più in là del casolare finivano i campi di grano, sperdendosi come andava andava su delle cave abbandonate e ridivenute anch'esse campi, tutti spelacchiati, buoni per i greggi sabini o abruzzesi di passaggio, e interrotti qua e là da burroncelli e strapiombetti.” “L’immagine di quella campagna – annota Carlo Emilio Gadda nel “Pasticciaccio brutto…”, descrivendo la campagna romana dalle parti del Santuario del Divino Amore - così desolata nel marzo, che con il ristare di scirocco e delle raminghe sue piove, dal lido, ora, approdava in una chiarìa tersa ai Castelli, a le case degli umani, lo fascinò ad un tratto come apparita di magìa: i cubi e i diedri delle case la coronavano al sommo, i cenobi, le torri. Una landa per i miraggi della solitudine. un attimo. Dietro le argille sgrondavano verso la duna gli sferzanti piovaschi: ivi la paura: i chiusi orizzonti dei valloncelli , le loro stanche marane, la mota rossiccia dove infoltisce il canneto dal colore verde freddo gelo senza riposo”. bm fonte www.aiol.it
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